Ming Kush, il villaggio dei 1000 uccelli

Abandoned factory in Ming-Kush, Kyrgyzstan

Secondo una stima del 2017, resa nota dall’Unione europea, l’Asia centrale è alle prese con circa 1 miliardo di tonnellate di rifiuti tossici di uranio, sepolte in sette discariche sparse per la regione. Il Kirghizistan ospita tre di questi siti. Dopo aver utilizzato l’Asia Centrale come fonte di materiali radioattivi durante l’era sovietica, Mosca ha lasciato i Paesi della regione “da soli con un problema orribile che non sono in grado di affrontare”, dichiara Baktygul Stakeyeva, ingegnere ambientale di MoveGreen, un movimento ambientalista giovanile.

Ming-Kush, nel distretto di Jumgal della regione chirghisa di Naryn, in italiano significa “Mille uccelli” ad indicare la predilezione degli uccelli a nidificare in quel territorio. E’ stata fondata ufficialmente nel 1955 attorno ad alcune miniere di uranio. Durante il periodo del suo massimo sviluppo la popolazione raggiungeva i 20.000 abitanti, scesi a 2000 dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la conseguente chiusura delle fabbriche. Essa rappresenta la parabola delle tipiche città minerarie costruite durante il periodo sovietico nel centro Asia e il conseguente declino a cui sono andate incontro dopo il collasso dell’Urss. 

Oggi nel villaggio vi sono numerosi edifici abbandonati e inagibili. I livelli di radiazioni attestate nell’area sono fino a 10 volte superiori alla norma e la maggior parte dei residenti è senza lavoro oppure la loro vita dipende dalle misere pensioni che percepiscono.

Abandoned factory in Ming-Kush, Kyrgyzstan

L’alba dell’era atomica

L’estrazione dell’uranio nell’URSS inizia ufficialmente nel 1942, con la prima miniera fondata a Taboshar, in Tagikistan. Per l’estrazione e la lavorazione del materiale viene impiegata manodopera forzata, soprattutto prigionieri provenienti dai Gulag. La corsa all’uranio subisce una accelerazione dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Ne parliamo con Dastan, una guida kirghisa, che ci racconta come durante la Guerra fredda Ming-Kush venisse classificata “città chiusa“, ossia un insediamento urbano in cui vengono applicate severe restrizioni di viaggio e di residenza, che richiedono un’autorizzazione speciale per le visite o i pernottamenti. Si tratta di luoghi con strutture militari sensibili o siti di ricerca segreta che prevedono uno spazio e un’autonomia operativa di gran lunga maggiore rispetto a una qualsiasi altra base militare.

Abandoned factory in Ming-Kush, Kyrgyzstan

Il massimo splendore a Ming-Kush

“Tra il 1946 e il 1951, per costruire Ming-Kush furono operativi oltre 600 soldati tedeschi dell’est aiutati da prigionieri che lavoravano dodici ore al giorno” spiega Dastan. In quel periodo l’uranio estratto a Ming-Kush ha svolto un ruolo fondamentale per la costruzione della prima bomba atomica dell’URSS e per il lancio del primo uomo nello spazio con la navicella Vostok1.

“Nel 1979, le miniere di Ming-Kush vengono chiuse per essere concentrate in alcune aree del Kazakhstan dove si utilizzavano tecnologie più avanzate- prosegue Dastan- Per evitare che la popolazione rimanesse disoccupata le autorità scelsero di costruire nuovi impianti industriali, come fabbriche di penne e pennarelli”.

I residenti ricordano con nostalgia il periodo di massimo splendore di Ming-Kush. Un ex operaio racconta “Quando c’erano i sovietici c’era molto lavoro, più di 20.000 persone a Ming Kush! Io lavoravo in fabbrica e tutti avevano un reddito dignitoso“. Il villaggio poteva vantare numerose infrastrutture che comprendevano policlinici, ospedali, polizia, vigili del fuoco, scuole, negozi, bar, mense, cinema e gli abitanti avevano accesso a prodotti e servizi solitamente riservati alle grandi città.

La caduta di un impero e Ming-Kush

However, there were the risks of uranium mining and processing, known to the miners themselves. Today, the inhabitants do not want to answer when it comes to illness and cancer. One lady is aware of this and does not talk about it, merely stating: ‘My father was a miner and my mother worked at the combine harvester. They both enjoyed good health and were blessed with nine healthy children. My father lived to the impressive age of 90’.
With the dissolution of the Soviet Union, the town of Ming-Kush suffered a dramatic decline. The once-booming industrial hub has seen an impressive decline in population, and the closure of factories has further exacerbated the economic crisis, leaving many jobless with unemployment now touching 70%.

C’erano però i rischi dell’estrazione e della lavorazione dell’uranio, noti agli stessi minatori. Oggi gli abitanti evitano di rispondere quando si parla di malattie e di cancro. Una signora ne è ben consapevole ma non ne parla, sottolineando al contrario che godevano tutti di ottima salute” Mio padre era minatore e mia madre lavorava alla mietitrebbia. Entrambi sono stati benedetti con nove figli sani. Mio padre ha vissuto fino all’impressionante età di 90 anni”.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la città di Ming-Kush ha subito un drammatico declino. Il polo industriale, un tempo in piena espansione, ha registrato un calo vertiginoso della popolazione e la chiusura delle fabbriche ha ulteriormente aggravato la crisi economica, lasciando molti senza lavoro con una disoccupazione che oggi tocca il 70%.

Un giorno a Ming-Kush

Ora le miniere sono parzialmente riconvertite in ricoveri di fortuna per gli animali, con parti del terreno
circostante trasformate in coltivazioni. Edifici del 1955, semisepolti e con i tetti crollati, rimangono a
testimonianza del patrimonio industriale del villaggio, mentre altre strutture sono ancora chiuse e
inaccessibili. I bambini giocano in strada con l’acqua delle fontanelle, le donne stendono il bucato e vari
animali come cavalli, pecore e asini scorrazzano liberi per la città. All’interno di alcune case, i residenti mi
accolgono per un pasto e un po’ di kefir. Passo la notte ospite di una famiglia. Chiedo al capofamiglia come
si vive d’inverno in questi luoghi “Sta diventando sempre più impegnativo, le temperature a volte
precipitano a -40 gradi, per questo dobbiamo usare più coperte per riscaldarci. Come puoi osservare, le
nostre case non sono state ammodernate e il freddo si infiltra facilmente. Inoltre la neve spesso blocca le
strade
, rendendo difficili gli spostamenti. Lo stato ci ha abbandonati” conclude.

The mountains and the view from the top of Ming-Kush

Le sfide ambientali e l’eredità dell’uranio

I resti dell’estrazione e della lavorazione dell’uranio hanno lasciato un segno sull’ambiente nell’intera area che ovviamente oltrepassa i confini del villaggio.

  Spostandosi in un’altra zona, quella del Tuyuk- Suu, non troppo lontano dalla capitale del Kirgyzstan Bishkek, vi è il maggiore di quattro tumuli radioattivi ancora esistenti dove spesso si può trovare il bestiame al pascolo. Con le forti piogge e le frane la contaminazione da uranio rischia di raggiungere corsi d’acqua che alimentano il Syr Darya, fiume che attraversa la Valle di Fergana, il fertile cuore agricolo dell’Asia centrale.

School materials in the abandoned village of Ming-Kush

Alcune organizzazioni internazionali, si stanno occupando dei rischi ambientali e sanitari posti da queste miniere di uranio abbandonate. Nonostante le sfide, c’è un barlume di speranza per Ming-Kush. A stanziare 85 milioni di euro vi è anche la BERS con la Commissione europea, il Belgio, la Norvegia, la Svizzera e gli Stati Uniti, nonché l’AIEA che hanno in programma la bonifica di sette siti di uranio in Asia centrale e 15 milioni di euro per predisporre le discariche necessarie. Con i finanziamenti del Conto per la bonifica ambientale dell’Asia centrale (ERA), il progetto ha compiuto progressi a Min-Kush e Shekaftar, dove tra i lavori eseguiti vi sono l’impermeabilizzazione dei pozzi minerari, il trasferimento dei rifiuti e la demolizione delle strutture industriali.

Children on horseback in Ming-Kush

Posizione urbex:

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