Lo zoo umano

Uno zoo del passato, dove ad essere rinchiusi nelle gabbie non erano animali ma bensì delle persone in carne e ossa.

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Posizione

Lo zoo si trova nell’angolo sud-est del parco Vincennes a Parigi. L’accesso è libero.

Storia

Inizialmente, nel 1899, il giardino fu costruito con l’intento di far crescere piante tropicali (cacao, caffè, vanilla e banani) affinché venissero usate utilizzate nell’impero francese.

Nel 1907 a Parigi, nel giardino d’agronomia tropicale, vennero progettati e costruiti sei villaggi tutti diversi tra di loro. Ognuno di essi rappresentava ciascuna delle conquiste coloniali di quel tempo: Indocina, Madagascar, Marocco, Tunisia, Congo e Sudan.

Lo scopo era avere una replica esatta dello stile architettonico, paesaggistico, della vita e della cultura del paese colonizzato.

Accanto ai vecchi padiglioni si possono trovare monumenti a ricordo delle battaglie combattute non solo dai francesi, ma anche dalle persone che vi si arruolarono per unirsi a questa causa straniera. Troviamo pure delle reliquie di paesi che sono stati scolpiti solo temporaneamente dall’Africa nell’Impero francese, come un padiglione per il Dahomey, un’ex colonia francese nell’Africa occidentale che è esistita dal 1904 al 1958.

Gli abitanti venivano posizionati dentro a ogni villaggio, e quasi fossero in uno zoo o in una vetrina di un negozio venivano esposti al pubblico di tutta Parigi.

Incuriositi i francesi venivano da ogni dove a vedere e osservare i costumi di questi popoli lontani.

Da maggio a ottobre del 1907 (data di chiusura dell’esposizione coloniale) si sono contati un milione di visitatori.

Nell’arco di 60 anni, dal 1870 al 1930, più di un miliardo e mezzo di persone hanno visitato questi cosiddetti “zoo umani” in giro per il mondo.

Più di 35000 persone abbandonarono i loro paesi di origine per andare ad esibirsi in questi spettacoli in diverse capitali europee. Intere famiglie andarono a vivere in delle mere repliche dei loro villaggi, indossando costumi tradizionali e intrattenendo gli spettatori.

Un’opportunità per dare sfoggio al potere dell’occidente sulle proprie colonie,

e allo stesso tempo fornendo agli occidentali la possibilità di “assaporare” l’esotico e di fantasticare con la tematica del viaggio in paesi remoti.

Negli “zoo” donne africane a seno nudo intrattenevano diversi spettatori, dando conferma a molti antropologi e scienziati delle loro teorie e osservazioni su popoli lontani, una tra queste quella della razza superiore.

Gli abitanti dei vari villaggi andavano in questi zoo di loro libera iniziativa e con uno “stipendio”, senza essere forzati da nessuno, essendo però già consci di andare contro denigrazioni e sfruttamenti.

Finita l’esposizione nell’ottobre del 1907, in pochi fecero ritorno nella loro patria. Molto di essi vennero ingannati (perfino dai propri stessi capi villaggio) per entrare a far parte di qualche circo. In un mondo asettico e capitalista, venivano spogliati di ogni loro identità tribale, e lasciati alla mercé dell’occidente.

Alcuni di essi trovavano la loro via di casa dopo molti anni, altri morivano di malattie come la tubercolosi e la varicella, altri ancora di una morte sconosciuta in questo mondo a loro alieno.

A Senegalese village set up inside of a human zoo at the World’s Fair in Brussels, Belgium in 1958.
THESE are the haunting pictures of HUMAN ZOOS that were a huge hit in the early 20th century Ð attracting millions of spectators. The shows held across the Western world were designed to emphasize the cultural difference between Europeans and other persons deemed primitive. The shocking pictures from human zoos across the globe show crowds of white faces gawping at black and Asian people in enclosures.
.. SEE COPY É PIC BY NEWS DOG MEDIA É +44 (0)121 517 0019

Il Jardin d’Agronomie Tropicale non fu completamente dimenticato dopo l’esposizione coloniale del 1907. Il padiglione della Guyana fu poi utilizzato come laboratorio di genetica agricola da Joseph-Alfred Massibot fino al suo decesso avvenuto in un incidente aereo l’8 gennaio 1948 in Algeria. Il padiglione della Tunisia diventò un laboratorio di chimica negli anni Venti, per poi essere utilizzato per la ricerca sulle piante. Ci fu un’altra mostra coloniale, “l’Exposition Coloniale Internationale” del 1931, e nella durata di sei mesi attirò una folla di 33 milioni di persone.

Storia di Sarah “Saartjie” Baartman

Sarah “Saartjie” Baartman fu una ventenne del Sud Africa, emblema del “periodo nero” dell’epoca coloniale.

Fu reclutata da un cacciatore di animali esotici e portata a Londra nel 1810 affinché potesse esibirsi quasi fosse un trofeo. Le furono promesse fama e ricchezze, ma non era questo a cui andò incontro.

La particolarità di Sarah era principalmente dovuta a una caratteristica genetica nota come steatopygia: glutei sporgenti e labbra ingrossate. Un altro a condividere il suo stesso destino fu il pigmeo Ota Benga dai denti limati che viveva nello zoo del Bronx.

L0034224 A female Hottentot with steatopygy
Credit: Wellcome Library, London. Wellcome Images
images@wellcome.ac.uk
http://wellcomeimages.org
A female Hottentot, possibly Saartjie ‘Sarah’ Baartman, with a disease (steatopygy), which results in a protuberance of the buttocks due to an abnormal accumulation of fat. Watercolour painting.
Coloured engraving
Journal Complementaire du Dictionaire Des Sciences Medicales
Published: 1819
Copyrighted work available under Creative Commons Attribution only licence CC BY 4.0 http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

In Sarah vennero testate diverse teorie antropologiche razziali, messa in gabbie strettissime costretta a indossare vestiti attillati violando così qualsiasi norma sociale di quel tempo. Alla fine Sarah, dopo 4 anni passati in Europa, si ritrovò ad essere una prostituta sulle strada di Londra cedendo all’alcohol. Morì povera, e i suoi organi sessuali, cervello e scheletro furono esposti al “Musee de l’Homme” a Parigi fino al 1974.

Nel 2002 l’ex presidente del Sudafrica Nelson Mandela chiese formalmente il rimpatrio dei suoi resti, che finalmente avvenne 200 anni dopo aver lasciato casa.

Wermer, Maréchal, Huet, designers ; C. de Lasteyrie, lithograph ; Etienne Geoffroy Saint-Hilaire, Frédéric Cuvier, authors of the text. Uploaded, stitched and restored by Jebulon, Public domain, via Wikimedia Commons

Descrizione

Ne approfitto della giornata di sole per fare una capatina al Parc des Vincennes e visitare lo zoo umano.

All’entrata la porta rossa Torii alta 3 metri, segnando così il passaggio dal mondano al sacro, dalla città alla natura. D’improvviso comincio a ricordare il cinguettio degli uccellini, ed ecco che ricorre un’altra volta. Quasi mi fossi dimenticato come fosse il canto degli animali, sento il mio corpo rilassarsi e distendersi. Dalle mani e dai piedi spuntano delle radici, ed ecco che mi connetto nuovamente alla foresta. Incredibilmente, dopo la goccia che è caduta nel pozzo, mi sento come nuovo.

Comincio ad esplorare in lungo e largo, incontrando nel mio cammino diversi esseri: anziani che fanno Taijiquan, anatre con la testa nascosta nel loro mantello di piume, un’anziana guida poliglotta, un albero che m’invita a fare il dondolo con lui, studenti del’ “Institut d’étude du développement économique et social Paris 1 Panthéon-Sorbonne” intenti a studiare sui libri, pietre che crescono.

Quasi fosse un viaggio nel tempo, mi ritrovo in Vietnam, Cambogia e Laos. Pagode compaiono dal nulla, ponti in pietra che passano sopra a dei ruscelli, piante di bambù con fusti dai colori vari, dal nero cupo fino al giallo dorato, monumenti che si erigono a soldati che non ci sono più.

Dall’altro lato del parco una capsula spazio temporale mi porta nel deserto del Sahara, ed ecco che mi ritrovo in Marocco. Ancora una volta colori e odori mi sopraffanno: spezie colorate e profumate, specchi di ogni forma decorati e luccicanti, tajine di terracotta smaltata, babbucce con la punta e senza punta, gioielli d’argento ammucchiati l’uno sull’altro, tappeti annodati a mano uno per uno, ceste enormi di frutta secca di tutti i colori, lanterne di ferro battuto.

Attraverso le sbarre della finestra intravedo il confine con la Tunisia, e ancora più in là il Madagascar e l’Isola della Riunione.

Sulla mappa:

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